Catinia 600

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In occasione delle celebrazioni per il sesto centenario dell’opera “Catinia” dello scrittore e giurista padovano Sicco Ricci, detto Polenton, l’associazione Abracalam propone la versione teatrale della singolare commedia umanistico-rinascimentale.

Sicco Ricci, detto Polenton, nasce a Levico di Valsugana probabilmente nel 1375 e nel 1403 ottiene la cittadinanza padovana ed entra a far parte del Collegio dei Notai.

Grande appassionato di lettere antiche scrive nel 1419, in latino, la fabula tabernaria “Catinia”, opera di rilevante interesse umanistico.

La scena di questa commedia pre-ruzantiana si rappresenta in un’osteria di Anguillara Veneta, sulla riva dell’Adige al confine fra i territori di Padova e Rovigo. Una disputa tra l’oste (Bibio) e uno scodellaro “foresto” (Catinio) viene arbitrata da un frate questuante (Questio). La questione si trasforma presto in un brioso osservatorio di campagna che analizza e fustiga i costumi del mondo accademico e del potere cittadino facendo trionfare il motto: “Bevi, manza e godi”.

Dal volgarizzamento, operato da un anonimo nel 1482 (quasi mezzo secolo prima dei successi ruzantiani) e ritrovato dal prete vicentino Zuan Lunardo Longo nella chiesa trentina di S.Maria, si percepisce, nell’ignoto traduttore, l’esigenza di voler ricercare una lingua che fosse autentica espressione popolare e si avverte, nei personaggi, la tensione verso la costruzione di un neo-linguaggio vernacolare.

La produzione teatrale “Catinia” (bevamo, manzamo, galdemo!!!), realizzata da Abracalam, parte proprio dal volgarizzamento che, da un punto di vista strettamente letterario, impoverisce l’eleganza del testo latino ma fa rivivere, nei personaggi, la necessità di dirigersi verso nuove modalità di espressione verbale.

Sembra quasi che il latino, non più sufficiente ad esprimere compiutamente quella voglia di “bevere, manzare e galdere”, si disperda tra curiosi storpiamenti fonetici e i fumi dell’ubriacatura che s’impadronisce dei protagonisti, impegnati, così, ad inventare un linguaggio di cui essi stessi non sono ancora pienamente padroni.